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21 Marzo 2018 Il team di ProntoPannolino Dalla redazione

Malattia del figlio e congedo per i genitori lavoratori: ecco quando se ne ha diritto, come richiederlo e quanto è retribuito

bambino ammalato mamma

Più i bambini sono piccoli, più dipendono per la loro cura da mamma e papà.

Questa esigenza può entrare, più o meno spesso, in conflitto con le esigenze lavorative dei genitori: terminato il periodo del congedo parentale, infatti, in caso di malattia del bambino tante mamme e papà lavoratori dipendenti ricorrono a permessi e ferie per stare accanto al piccolo quando non sta bene.

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Nei casi più gravi (ossia quando la malattia del figlio purtroppo persiste e richiede dei lunghi tempi di recupero, o un ricovero ospedaliero) si può arrivare fino alla situazione limite in cui uno dei due genitori decide di lasciare completamente il lavoro per potersi prendere cura del piccolo.

La situazione può avere anche dei risvolti negativi per la salute di tutti quando capita che, per non assentarsi dal lavoro e non avendo nessuna persona di fiducia cui delegare il compito della cura del bambino ammalato, alcuni genitori si trovano nelle condizioni di dover mandare il piccolo all’asilo (o al nido) anche se non si è ancora ristabilito del tutto.

Per aiutare i genitori a prendersi cura dei loro bambini quando sono ammalati, la Legge e i contratti di lavoro prevedono alcune agevolazioni – come il congedo di malattia parentale -che magari sono ancora troppo poco note, sebbene possano essere di grande aiuto. Andiamo a scoprire quali sono e come funzionano!

Definizione di malattia (e convalescenza) del figlio

Anzitutto è importante sapere cosa definisce la Legge come “malattia”.

Si tratta di una “modificazione peggiorativa dello stato di salute” che comporti una “alterazione anatomica e funzionale dell’organismo”.

La malattia può essere:

  • generalizzata, quando coinvolge tutto l’organismo (come nel caso di un attacco influenzale);
  • localizzata, per esempio a livello respiratorio, articolare, etc.

Valgono come “malattia” sia:

  • quella “acuta”, che si definisce tale quando c’è un episodio che raggiunge un picco e poi si risolve entro qualche giorno
  • quella “cronica”, che quindi richiede cure costanti e quotidiane: è il caso, per esempio, dell’asma, o di disfunzioni ormonali

Le norme prevedono che debba essere considerata “malattia del figlio” anche la sua convalescenza, ossia il periodo necessario per il completo recupero delle normali condizioni di salute.

Con un’interpretazione estensiva (data dal Ministero del Lavoro con la circolare n° 79 del 29 dicembre 1976) anche le cure elioterapiche, ossia quelle che prevedono l’esposizione ai raggi del sole per guarire disturbi di varia natura, vengono considerate “malattia”, mentre lo stesso discorso non vale per il soggiorno marino e montano, nonostante i diversi benefici per il fisico che sia l’uno che l’altro comportano.

Per quanto riguarda le cure termali, invece, il discorso è ancora diverso: vengono infatti riconosciute come “malattia” solo quando il medico curante del bambino segnala che sono indispensabili per guarire una particolare patologia e non possono essere rimandate, e l’efficacia di questo trattamento deve essere dimostrata. In questo caso devono essere sostenute entro 30 giorni dalla richiesta del medico per dare diritto al congedo per malattia del figlio.

Se invece il ciclo di cure termali può essere sostenuto in qualunque periodo dell’anno, ai genitori non spetta il congedo per malattia: diventa quindi necessario far coincidere le cure con il periodo di ferie, o cercare altre soluzioni.

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Cosa dice la legge?

La legge di riferimento quando si parla di malattia del figlio è il D. Lgs 151/2001, che all’articolo 47 prevede il diritto di astenersi dal lavoro per entrambi i genitori, alternativamente.

Questo significa che mamma e papà non possono far valere contemporaneamente lo stesso diritto, ma solo uno alla volta: nel caso in cui anche l’altro voglia assentarsi dal lavoro per essere a disposizione, quindi, dovrà richiedere un normale permesso o le ferie.

Se invece uno dei due genitori non ha diritto a questo tipo di permesso, l’altro ha comunque la possibilità di richiederlo.

Il genitore che assiste il figlio ammalato ha diritto a restare a casa dal lavoro:

  • senza un limite massimo di giorni per i figli da 0 a 3 anni (il giorno del 3° compleanno)
  • cinque giorni all’anno per ognuno dei genitori e per ognuno dei figli dai 3 agli 8 anni di età (anche qui, come termine ultimo vale il giorno dell’ottavo compleanno).

Se la malattia si presenta durante il periodo delle ferie dei genitori, queste possono essere “sospese” e al loro posto si può utilizzare il permesso per malattia del figlio, secondo le stesse indicazioni viste sopra.

Un discorso simile vale per il congedo parentale: se nel bambino insorge una malattia durante questo periodo, i genitori possono sospenderne la fruizione per il tempo necessario alla guarigione, certificato da uno specialista.

Il diritto a restare a casa dal lavoro per accudire il figlio ammalato vale, con le stesse caratteristiche, anche per i dipendenti part-time.

Come richiedere il permesso per la malattia del figlio?

Servono due documenti:

  • il certificato di malattia del bambino, che deve essere rilasciato da un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o da uno convenzionato con SSN. Questo certificato viene inviato all’INPS per via telematica direttamente dal medico, proprio come avviene per quelli degli adulti.
  • una autocertificazione (o dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà) che attesti che negli stessi giorni l’altro genitore non è in congedo per lo stesso motivo.

A proposito di certificato medico, c’è da aggiungere che durante i giorni indicati dal dottore per la malattia del figlio il genitore non ha l’obbligo della reperibilità negli orari di visita fiscale, in quanto questo riguarda esclusivamente il caso di malattia del lavoratore e non quello di uno dei suoi cari.

Qual è il trattamento economico previsto?

A meno che il contratto di categoria (o quello interno aziendale) non preveda diversamente, il congedo per la malattia del figlio non dà diritto alla retribuzione e non contribuisce alla maturazione delle ferie o della tredicesima mensilità di stipendio: si tratta quindi di uno strumento molto simile al permesso non retribuito, con la differenza che non intacca il monte ore di permesso del lavoratore.

Il tempo di congedo per la malattia del figlio viene però conteggiato ai fini del calcolo dell’anzianità di servizio, necessaria per il conseguimento degli scatti contrattuali e l’ottenimento della pensione.

I giorni di congedo per la malattia del figlio sono coperti da contribuzione figurativa intera per le assenze fino ai 3 anni, mentre la contribuzione figurativa è ridotta (ma integrabile con una contribuzione volontaria) nella fascia da 3 a 8 anni.

Casi particolari

Diversamente da quanto avviene per il settore privato (a meno di particolari accordi contrattuali), per i dipendenti pubblici il congedo di malattia del figlio è interamente retribuito per i primi 30 giorni utilizzati ogni anno nella fascia di età tra 0 e 3 anni.

A disposizione di questa categoria di lavoratori ci sono quindi 30 giorni di permesso retribuito fino al compimento del 1° anno di età, 30 da 1 anno al compimento del 2° e 30 da 2 anni al compimento del 3°, come indicato dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL).

Il congedo per la malattia del figlio vale anche per chi è iscritto alle liste di mobilità; in questo caso il tempo del congedo non viene calcolato come tempo di permanenza all’interno della lista, ma per il genitore che accudisce il figlio è possibile, durante quel periodo, rifiutare le offerte di lavoro o le richieste di impiego in opere di pubblica utilità, oppure la partecipazione a corsi di formazione professionale, senza essere cancellati dalle liste di mobilità.

Questo congedo spetta anche ai genitori adottivi o affidatari, con modalità leggermente diverse rispetto a quelle definite per i genitori naturali:

  • fino al compimento dei 6 anni di vita senza una previsione del limite di durata
  • dai 6 anni al compimento degli 8, con un limite di 5 giorni lavorativi all’anno per ciascun figlio per ognuno dei due genitori

Per la malattia del figlio disabile, invece, il congedo si somma ai diritti previsti dalla Legge 104/92.

Come abbiamo visto la normativa in materia è piuttosto chiara, anche se poi si possono trovare differenze caso per caso nella sua applicazione: se avete dubbi potete confrontarvi con il vostro pediatra oppure mettervi in contatto con il responsabile delle risorse umane della vostra azienda, che sapranno fornirvi le informazioni più utili in questo tipo di situazioni.

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