Qual è l’età giusta per iniziare la scuola? Ecco perché a 6 anni potrebbe essere troppo presto
Qual è l’età “giusta” per cominciare ad andare a scuola? La risposta più immediata che verrebbe da dare è “6 anni”, ma questo è perché 6 anni è l’età in cui, in Italia, inizia la prima elementare (con differenze a seconda del mese dell’anno in cui il bambino è nato e se si sceglie di fargli fare “la primina”). Ma se l’età ideale per cominciare il percorso di studi fosse 7 anni?
E’ una domanda che sono stati tanti a porsi e sull’argomento sono stati portati avanti parecchi studi: uno dei più recenti è stato realizzato da Thomas S. Deen – professore in scienze della formazione all’università di Stanford – e Hans Henrik Sievertsen, ricercatore nell’ambito della formazione e della salute presso The Danish National Centre for Social Research.
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Dalla loro collaborazione è nato “The Gift of Time? School Starting Age and Mental Health”, un saggio che dimostra come il portare a 7 anni l’età di inserimento alle scuole elementari si traduca in una diminuzione significativa degli episodi di iperattività e difficoltà di attenzione che molto bambini manifestano durante il primo anno di scuola, migliorando il loro approccio agli studi anche negli anni a venire.
Non a caso in Finlandia, Stato che vanta il sistema scolastico migliore al mondo, i bambini iniziano la prima elementare solo a 7 anni, e lo stesso succede anche in Norvegia.
Un caso opposto lo troviamo in Inghilterra dove l’istruzione obbligatoria inizia a 5 anni ma è possibile scegliere di far cominciare i bambini un anno prima, portando così i piccoli a stare sui banchi di scuola già a 4 anni.
In Italia, come abbiamo già detto, l’età di inizio è 6 anni ma è possibile scegliere l’”anticipo“, quello che una volta si chiamava “la primina”, ovvero far andare a scuola già a 5 anni i bambini che sono nati all’inizio dell’anno.
I genitori che decidono di anticipare l’ingresso a scuola dei loro bimbi spesso lo fanno per “non fargli perdere un anno” (un bambino nato a gennaio comincerebbe la prima elementare a 6 anni e 8 mesi) o perché pensano che i bambini possano essere maggiormente stimolati dalle attività scolastiche.
In realtà vari studi dimostrano che il gioco è una componente fondamentale nel processo di crescita di un bambino: i piccoli hanno un bisogno fisiologico di giocare che risponde a una necessità di preparazione per affrontare la vita quotidiana e di sviluppare alcune abilità che poi gli saranno indispensabili nella vita di tutti i giorni.
Nel saggio “The importance of play” (di David Whitebread, psicologo cognitivo specializzato nell’infanzia presso l’Università di Cambridge), l’autore spiega come spesso il gioco sia visto erroneamente come qualcosa di inutile e superficiale, in contrapposizione al lavoro e ai doveri.
Whitebread critica anche il sistema educativo europeo che spesso, più che sul dare ai bambini un’educazione basata su stimoli ed esperienze, punta semplicemente ad iniziare prima il percorso di studi, privando quindi i bambini di un tempo prezioso per continuare a giocare e così svilupparsi intellettualmente, emozionalmente e socialmente.
Il gioco infatti è così importante che, se a un bambino viene tolta l’opportunità di giocare in maniera adeguata, questi può manifestare anomalie a livello di sviluppo neurologico, una situazione che però può essere risolta (in parte o parzialmente) se al piccolo vengono fornite adeguate opportunità di gioco.
L’articolo 31 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – redatta dall’Unicef – dice che “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età”.
Di certo far cominciare i bambini ad andare a scuola a 7 anni, almeno in Italia, comporterebbe necessariamente una revisione dell’intero modello educativo e della sua suddivisione nei cicli scolastici inferiori (elementari e medie).
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Al momento non sembra una realtà che vedremo presto nelle scuole del nostro Paese, ma che 6 anni sia presto per iniziare le elementari sembra essere un dato di fatto a cui sempre più Paesi stanno prestando attenzione.
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